C’è voluto un po’, ma finalmente anche in Italia mangiare (bene) negli spazi espositivi – siano essi musei pubblici o gallerie private – pare possibile, anzi normale. Non più un’eccezione da osservare con ammirata curiosità, ma il frutto di una strategia che guarda all’imprenditoria culturale con gli stessi occhi di un qualsiasi altro tipo di impresa, dove profitto e qualità non sono per niente nemiche, ma al contrario, convergono a tenere in equilibrio conti e ambizioni; vista l’esigenza – sempre più pressante – non tanto di differenziare il business, quanto di far vivere questi luoghi in modo meno unidirezionale, affiancando alle normale attività espositiva, anche iniziative culturali, proposte e servizi che possano ampliarne la fruizione, purché si mantenga lo standard qualitativo necessario. Magari mettendo insieme due capisaldi dell’italianità, potenti attrattori turistici: l’arte e la cucina, che ha ormai conquistato lo status di espressione culturale, nelle sue diverse realtà. Con buona pace di chi storce il naso di fronte alla presenza di chef e sommelier nei musei.
Perché mangiare in un museo
Archiviata da tempo la felice stagione del Combal.Zero al Castello di Rivoli, che ha ospitato le migliori performance di Davide Scabin all’ombra della serie di Fibonacci di Mertz, altre insegne si inseguono a tessere la trama dei ristoranti da museo, che possono così prolungare la permanenza dei visitatori che dalle sale espositive si spostano in quelle da pranzo, e diventare essi stessi destinazioni come avviene per certe architetture, basti pensare al Guggenheim di Bilbao, struttura che, a prescindere dalle pur notevoli opere esposte dentro e fuori, vale una visita per le curve vertiginose disegnate da Frank Gehry e per la presenza di Josean Alija con il suo Nerua. E ne traggono benefici tutti: i cittadini cui sono consegnati spazi che non piombano nel silenzio appena giunge il buio, i visitatori che hanno un ventaglio di servizi di grande appeal, i gestori dei punti ristoro che beneficiano di location di prestigio, gli stessi spazi espositivi cui si riconosce una quota per l’uso degli spazi e una percentuale sugli incassi. Insomma il classico esempio di win-win.
Fonte: gamberorosso.it
Autore: Antonella de Santis
Data: 11 Aprile 2022
Leggi l’articolo completo su gamberorosso.it